Catania e Report

Report su Catania.

Molti hanno parlato di pugno allo stomaco. Io ho avuto una sensazione di smarrimento, se volete di mancamento: ma dov’eravamo noi, dov’era la politica, dov’era la Catania, nella quale sono cresciuto e alla quale mi onoro di appartenere, che pur sapendo che la situazione è disperata, non dispera. Che, cocciutamente, ha cercato – e continua – di cambiare le cose.
Perché è fatta di donne e uomini che continuano a indignarsi di fronte all’ingiustizia.
A costo di apparire romantici fuori dal tempo.
E proprio le ingiustizie mostrate sono quelle che mi hanno provocato maggiore dolore.
In questi ultimi anni, i deboli, i disagiati, insomma gli “ultimi” della nostra città sono scomparsi dall’agenda delle amministrazioni, siano esse comunali, provinciali o regionali, per non parlare del governo nazionale.
Questo pone con ancora più forza la domanda: ma noi dove eravamo? Non c’eravamo nel servizio perché hanno deciso di fare un ritratto atroce di Catania dove non ci poteva stare ciò che di buono era stato fatto una volta o che, faticosamente, qualcuno continua a fare: sarebbe venuto meno il ghigno.
Il servizio non lo ha detto – forse sarebbe venuta meno, la prova della irredimibilità della Città – ma il Pala San Teodoro, oscenamente vandalizzato e distrutto, era stato realizzato dall’amministrazione Bianco, utilizzando i finanziamenti delle Universiadi per dare anche a Librino un impianto sportivo degno di questo nome e fu consegnato alla successiva amministrazione Scapagnini del tutto rifinito. Così come la Sidra delle castagne e dei ciondolini d’oro, e, soprattutto, dei compensi per i consiglieri d’amministrazione e delle assunzioni “facili”,  fu consegnata con un consistente attivo.
Per non parlare di bambinopoli, parchi, scuole, servizi al cittadino, cultura, attrazione di investimenti: insomma, qualità della vita e sviluppo, almeno come progetto politico e amministrativo.
Così come solo la nostra voce si è levata per dire, e, se necessario, per denunciare alla Procura, che qualcosa non convinceva nel Parcheggio Europa o nella ristrutturazione dell’ex Mulino S. Lucia, tutti sottoposti a sequestro,  e, più in generale, nell’operato del Commissario per l’emergenza traffico.
Eppure non c’eravamo, anche questo è un punto. E non c’eravamo – nella città, non nel servizio che è stato e rimane un “servizio” reso alla città immemore – anche perché siamo stati distratti, divisi, confusi. O, per lo meno, così siamo stati visti da buona parte di Catania. Pressoché inutili, a guardare i risultati delle comunali.
Anche se verrebbe voglia di chiedersi qual è il criterio di utilità del catanese.
E, nel frattempo, Catania precipitava per una scelta scellerata dei Vicerè (Scapagnini, Firrarello, Stancanelli, Lombardo & co.), abbandonando velocemente non solo i sogni realistici di eccellenza – chi si ricorda dell’Etna Valley – ma, addirittura, la speranza del quieto vivere.
Saranno pure aumentati i SUV ma in materia di abbandono scolastico siamo molto più avanti in graduatoria.
E dire che proprio sulla scuola, giustamente, si era puntato, come mi diceva mio padre da assessore alla pubblica istruzione e, a maggior ragione, da assessore ai lavori pubblici.
Bisogna ripartire. E se avevamo bisogno di Report per capirlo siamo messi peggio di quanto pensassi.
In questa realtà difficile che è la Città, per cambiarla.
Se volete, estendendo il concetto, è sempre in questo Paese difficile che bisogna intervenire.
Io sono convinto che, per riprendere questo difficile lavoro, sia nato il Partito Democratico.
Per esercitare il faticoso mestiere del riformismo. Quello concreto che aiuta a cambiare un po’ la vita delle persone.
Per rifarmi ad una tradizione municipalista, quello del sindaco Giuseppe De Felice Giuffrida.
Quello che, se fa le scale antincendio, prima adegua le porte delle scuole.
Ho scritto: è nato il PD. Per fare. Altrimenti perché? Il PD nasce per cambiare il Paese.
Il PD è uno strumento messo nelle mani di chi nutre ancora questa voglia, sente questa passione, avverte questa esigenza.
Per cambiare il Paese e per cambiare, i nostri paesi, i nostri quartieri e le nostre città. Impresa ardua.
Anche il progetto del PD è un’impresa ardua. Che non vive di gruppi dirigenti e delle loro mediazioni, ma della partecipazione popolare (o per lo meno dovrebbe), della scommessa di tante donne e di tanti uomini che non hanno perso la speranza di cambiare le cose.E, sapendo che è una cosa seria e difficile, non si accontentano della delega a qualcun altro ma vogliono viverla in prima persona, disposti addirittura, di questi tempi, a metterci la faccia, a sporcarsi le mani. Affrontando discussioni con chi non la pensa proprio allo stesso modo, sapendo, però, che solo così può nascere un’identità viva e non una semplice copertura ideologica.
Insomma, lo vogliamo costruire questo PD? A maggior ragione dalle nostre parti? Magari proprio a partire da Librino.
Come, dipenderà da chi vorrà esserci.
Il mio è un appello molto interessato. Tranquillizzo chi ha pensato ai signori delle tessere: mi riferisco ad altro, a quanto ho scritto prima.
Il mio fare politica ha senso se diventa un pensare ed un agire collettivo, proprio anche degli altri che, tanti o pochi, vogliono condividere riflessioni e umori, passioni e rabbie, illusioni e speranze, per alzarsi le maniche e fare. Semplicemente.
Se la molla all’iscrizione dovesse risultare incontenibile, cercare il circolo PD del proprio paese o la sede provinciale in Via Perugia 10, a Catania.
Per ogni informazione c’è la mia segreteria.