PER UNA NUOVA E CONDIVISA RIFORMA DELL’UNIVERSITA’

Care amiche e cari amici

vi propongo la petizione per l’università elaborata dal coordinamento unico d’ateneo. Come saprete ho avuto modo di incontrare questo coordinamento ( che ha al suo interno tutte le componenti dell’università dai docenti ai ricercatori agli amministrativi agli studenti) e condivido e sostengo la battaglia per salvare l’università pubblica dalla “riforma” Gelmini. Leggete con quanto buon senso, ragionevolezza e un pizzico di ironia il coordinamento avanza proposte. Ma con questo governo c’è poco da essere ragionevoli. Continueremo la nostra battaglia in Parlamento contro il provvedimento della Gelmini. Sempre che sia ancora ministra…
Chi volesse essere informato su tutti i passaggi parlamentari è pregato di scrivere il proprio indirizzo mail nello spazio riservato ai commenti (ovviamente non sarà pubblicato): sarà mia cura aggiornarvi.

–          Al Ministro dell’Istruzione, della Ricerca e dell’Università

–          Alle deputazioni parlamentari della Sicilia orientale

–          p.c. Al Rettore dell’Università di Catania

PER UNA NUOVA E CONDIVISA RIFORMA DELL’UNIVERSITA’

L’Università italiana ha bisogno di una forte azione riformatrice e di rinnovamento.

Essa – per riconoscimento unanime – necessita di una trasformazione che sappia premiare qualità della ricerca e della didattica, che apra con decisione alle nuove generazioni espulse da anni di precariato e di blocco di concorsi, che accompagni e sostenga studenti, famiglie e società tutta dentro un mercato globale del lavoro e dell’innovazione scientifica e culturale sempre più difficili e competitivi.

L’Università italiana ha bisogno di una riforma del suo sistema di governo, di una riforma degli strumenti di welfare studentesco, di una riforma dell’assetto della docenza e del reclutamento.

La riforma da Lei presentata, gentile Ministro, ben individua tali nodi. Ma gli strumenti attraverso i quali intende perseguire tali obiettivi sono generalmente inefficaci, talora dannosi, il più delle volte difficilmente applicabili.

Lei immagina un Governo delle Università che restringe la capacità di dibattito e di confronto democratico della comunità del sapere e che consegna a manager – che è legittimo temere politicizzati – il controllo gestionale del sistema accademico locale. Tale disegno è inefficace, antieconomico, inapplicabile. Inefficace perché dei Consigli di Amministrazione onnipotenti rischiano di fare saltare quell’equilibrio tra poteri ed interessi economico-gestionali e scientifico-culturali che è il solo capace di regolare la vita delle Università; antieconomico per il livello incontrollabile di pressione esterna che graverebbe sulla vita dell’Università; inefficace, di conseguenza, perché si finirebbe così per paralizzare capacità e velocità decisionale e operativa delle Università stesse.

Noi vogliamo un assetto degli Atenei “leggero”, che semplifichi le strutture interne, che promuova capacità di coniugare ricerca d’eccellenza e innovazione nella didattica, che veda una valutazione costante e un monitoraggio continuo anche da parte dell’utenza. Una organizzazione che esalti quel dibattito di idee che è la ragione stessa della vita universitaria ma anche l’unico strumento per rendere elevato, innovativo, vincente e competitivo sul mercato il suo sistema di scelte.

Lei immagina una riforma del diritto allo studio di stampo anglosassone, con prestiti d’onore e mutui familiari per gli studenti meritevoli. Tale sistema è rischioso e inefficace, perché non tiene conto della enorme diversità del nostro sistema d’accesso al credito, perché ignora la situazione del nostro lento e rigido mercato del lavoro, perché sorvola sulla povertà dei servizi storicamente a disposizione dello studente e, inoltre, perché non è realmente finanziato dallo Stato, ma si affida alla benevolenza di non meglio individuati “privati”.

Riteniamo che tale progetto sia viziato da una idea inattuale del rapporto tra “pubblico” e “privato”.

Noi vogliamo un sistema di diritto allo studio finanziato da fondi statali, che assicuri livelli di welfare studentesco omogenei sul territorio nazionale, unito ad incentivi fiscali forti calibrati sulle fasce di reddito. Noi sappiamo che questo è l’unico modo per avere un maggior numero di laureati di qualità (l’Italia è il fanalino di coda in Europa per il numero di giovani laureati). E solo un aumento deciso dell’istruzione universitaria nelle nuove generazioni può fare uscire la nostra economia dalla palude della crisi.

Lei, Signor Ministro, immagina infine una docenza piramidale, totalmente gestita dal vertice della piramide stessa, costituito dai professori ordinari. Tale sistema della docenza non risponde alla oggettiva situazione storica dell’Università italiana. In Italia vi è la docenza più anziana d’Europa, unita ad una lentissima capacità d’ingresso alla docenza stessa (si diventa professori intorno ai 55 anni) ed al più alto ricorso al precariato docente (circa il 35% della docenza su base nazionale; per non dire della situazione assurda dei ricercatori confermati, non docenti per legge ma necessari all’offerta formativa nazionale, di cui ricoprono oltre il 35%). La tenure-track di 6-8 anni da lei immaginata, inoltre, è al di fuori di ogni standard europeo, prefigurando un precariato d’ingresso di circa 12 anni, nella migliore delle ipotesi. Noi stiamo verificando, sulla pelle nostra e dei nostri allievi, che con queste politiche il sistema italiano della ricerca non solo non è capace di attrarre le menti migliori, ma addirittura le spaventa, le respinge, le fa fuggire all’estero.

Noi riteniamo invece che sia giunto il momento, anche in Italia, di costruire un unico ruolo docente, articolato in più funzioni e livelli retributivi, basati sul raggiungimento di standard scientifici e didattici. Riteniamo che si debba subito costruire un unico quadro normativo per le figure in stato di addestramento alla ricerca, con una riduzione del periodo di formazione che sia capace di portare alla docenza i ricercatori meritevoli entro i trent’anni, come accade nel resto del mondo Occidentale e nelle economie avanzate con cui siamo chiamati a competere.

E qui, Signor Ministro, riteniamo che si tocchi la vera nota dolente di ogni progetto di Riforma, possibile o immaginabile: la questione del finanziamento. Come Lei sa, l’Italia è in coda in Europa per l’investimento su Ricerca e Alta Formazione. Il taglio previsto dal Suo Governo del 18,9% del Fondo di Funzionamento Ordinario degli Atenei ci pare un errore assoluto. Inoltre, la recente bocciatura nelle commissioni parlamentari del suo DDL per mancata copertura finanziaria ha svilito ogni aspettativa di un ripensamento sulla questione del finanziamento.

Il mondo universitario ha oramai ben chiaro che senza un livello adeguato di finanziamento le Sue riforme – quale che sia la valutazione di ciascuno sulle stesse – resteranno lettera morta. E rimarranno i tagli. Tagli alla ricerca, all’innovazione, al benessere ed al futuro del nostro paese.

La stessa promessa di reperire qualche fondo aggiuntivo, di recente formulata, appare mortificante. Il taglio è massiccio: 1,35 miliardi di euro. Il Suo dicastero aveva promesso di recuperarne circa il 60-70% (più o meno 800 milioni di euro). Tale cifra – sia chiaro – sarebbe già assolutamente insufficiente e costituirebbe di fatto un atto di morte per molti atenei, facoltà, corsi di laurea. Adesso si parla del reintegro del reintegro (ci chiediamo: quanto? Il 20, il 30, il 40% del finanziamento tagliato? Nessuno lo sa; nessuno può dirlo). Ci si promette insomma, aldilà delle roboanti dichiarazioni di volere “rifinanziare l’Università”, di trovare una parte della già insufficiente porzione di soldi che si era promesso di reintegrare (restano pericolosamente fuori dal conto, inoltre, circa 90 milioni di euro necessari per finanziare il fondo del diritto allo studio…).

Briciole, ecco quel che si riserva all’Università; briciole da dare ai poveri o ai disperati.

E noi siamo ricchi della nostra professione di operatori del sapere e della ricerca; e nutriamo la speranza, forte, che il nostro paese si risollevi a partire dalla sua capacità di produrre cultura e innovazione.

Per queste ragioni, gentile Ministro, Le chiediamo – alla luce della situazione di stallo in cui si trova il DDL da Lei presentato, ma soprattutto alla luce delle voci ormai unanimi, dagli studenti ai docenti, dalla Crui alla Confindustria, che ritengono mortificante e svilente per l’immagine dell’Università stessa il balletto di cifre e promesse che si sta verificando – Le chiediamo di ritirare Lei il DDL 3687.

Lo faccia Lei, Signor Ministro, prima che il provvedimento vada in un binario morto del nostro Parlamento o che venga approvato senza fondi, mutilando di fatto la realtà accademica del paese e penalizzando famiglie (con progressivi aumenti delle tasse), studenti e giovani ricercatori, oltre che il sistema economico del paese nel suo complesso.

Solo un atto come questo può ridare forza e autorevolezza ad un progetto di riforma ampio, profondo e condiviso della nostra Università.

Se Lei – come vi è da augurarsi– farà la Sua parte, noi ci impegneremo a svolgere un ruolo costruttivo e propositivo.

Con l’obiettivo comune di restituire al paese ed al suo sistema intellettuale e produttivo la forza propulsiva di cui sono capaci.

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