Quello che rischia il Paese se non ci sarà una svolta

Comincio col dire che sento, come mai, un grande bisogno di verità. La verità è che la nostra amata Italia rischia di non sopravvivere quale è stata finora…

da l’Unità una serie di riflessioni e interrogativi di Alfredo Reichlin

1946“Comincio col dire che sento, come mai, un grande bisogno di verità. La verità è che la nostra amata Italia rischia di non sopravvivere quale è stata finora se in tempi brevi una volontà, un pensiero politico, uno schieramento di forze reali (si può dire ancora un partito?) non si mette in grado di avviare una svolta.

Svolta dico, non generici appelli al rinnovamento. Ho seguito le cronache della Leopolda di Matteo Renzi. Il suo messaggio «nuovista» è efficace ed è giusto. Ma è troppo vago. Renzi non dice che siamo a un bivio molto drammatico della storia d’Italia e non indica chiaramente la strada che scegliamo: con chi, contro chi, e con quale strumento politico e raggruppamento di forze combattiamo.

A me pare che stia qui il banco di prova del rinnovamento. Meno effetti speciali e più lucidità nel capire che i leader non devono partire solo da se stessi. È arrivato il tempo di partire dalla realtà.

Quale realtà? Se non vogliamo leggere i libri almeno ragioniamo. Da un lato c’è il rischio di una crisi non di un governo ma del regime democratico: un 40 per cento e più che non vota, il 25 per cento che vota Grillo, un Berlusconi ferito a morte che chiama a raccolta i suoi sulla base di una scelta apertamente sovversiva, cioè il rifiuto dello Stato di diritto e della legge uguale per tutti per non parlare della frantumazione del partito di Monti e del Pd che è senza un capo effettivo. Io mi domando che maggioranza reale abbiano i difensori della democrazia parlamentare.

Spero che tra questi ci siano le energie nuove suscitate da Renzi. Aggiungo però che mi preoccupa il fatto che Renzi proponga come modello di legge elettorale il «sindaco d’Italia». Di fatto un uomo solo al comando. Altro che i pesi e i contrappesi del presidenzialismo americano. Qui i consigli comunali non contano niente e il sindaco fa tutto lui.

Ma questa è solo una parte della realtà. Dall’altro lato c’è la necessità di fare i conti con il bilancio disastroso che ci consegna il ventennio berlusconiano. Un sistema di potere politico, mediatico e finanziario concentrato nelle mani di un uomo senza scrupoli, con una concezione proprietaria della cosa pubblica, che ha inquinato la vita anche morale del Paese e colpito la sua dignità di fronte al mondo. Non mi dilungo.

Accenno solo alla semplice verità, cioè al fatto che l’Italia in questi anni è diventata più piccola. Si è impoverita. E ciò al di là degli effetti della grande crisi che ha colpito tutto l’Occidente. Il tasso di povertà delle famiglie è quasi raddoppiato. Ma è la statura complessiva della nazione che si è abbassata: le sue potenzialità di sviluppo e il suo peso nel mondo. Cose come la crescita del debito, il declino della struttura industriale, le insufficienze della scuola e della ricerca, il deterioramento del tessuto civile e culturale nonché dell’ambiente naturale si stanno avvitando tra loro spingendo il Paese verso il declino.

Ecco perché secondo me il rinnovamento consiste nell’avviare una svolta reale facendo una analisi seria e raggruppando un insieme sufficiente ampio di forze, di consapevolezza e di idee nuove. Una svolta che non si può fare senza un partito nuovo. Nuovo, nuovissimo, come dice Renzi ma pur sempre un partito che non ammaina le sue bandiere.

Uno strumento di lotta capace di affrontare il compito su cui il Pd ha fallito. Anche questo fallimento è parte della verità. Il Pd non avuto la forza di misurarsi con qualcosa che non era solo la scelleratezza di Berlusconi. Era il modo di essere del blocco di potere dominante. I padroni, diciamola pure questa scandalosa parola impronunciabile nel Pd, e non solo alla Leopolda. È il tema che i fondatori della Repubblica (i soli veri riformatori) si posero.

E cioè come affrontare il peculiare «blocco storico» italiano, il singolare miscuglio di tipo massonico tra la politica, i peggiori compromessi sociali e un grande padronato poco incline a investire sull’innovazione perché preferisce fare i soldi con i bassi salari e saccheggiando lo Stato. Quel blocco fu più volte scosso ma alla fin fine è rimasto più o meno quello. Pensiamo solo alla incredibile persistenza del patto scellerato tra il cosiddetto asse nordista (il «salotto buono» che non ha mai sbagliato un colpo avendo scelto prima Craxi, poi Bossi, poi Berlusconi, e adesso certamente non Cuperlo) e il blocco parassitario meridionale. Col risultato che in 50 anni il divario tra le due Italie è cresciuto.

E nessuno osa dire che questo è il nostro problema principale.
Non è la Santanchè ma è l’incapacità (prima di tutto delle forze dominanti ma non solo) di pensare i propri interessi nel quadro e in funzione degli interessi complessivi del Paese e quindi in modo tale da includere attivamente le classi subalterne nella vita politica e statale in quanto cittadini titolari di diritti e non come masse di individui tenuti insieme dagli inganni del populismo e del potere «mediatico».

Ricordiamoci che da ciò discende la debolezza dello Stato italiano, l’anarchismo di grandi masse che non riescono a sentirsi parte di un «popolo-nazione» prive come sono di quel senso di appartenenza a una storia comune che caratterizza i grandi popoli.
Dopotutto, era questa la ragione di fondo per cui pensammo il Pd come un partito «nuovo», il partito della Nazione. Io ci avevo molto creduto ma riconosco che in ciò sta la gravità della sua crisi e la spiegazione del bisogno di cambiamento, quasi una ribellione, che scuote le sue file e a cui -vedendo certi riciclaggi – sono tentato di associarmi.

Ma qual è l’alternativa? Porre fine alle «larghe intese», dice Renzi. Ma di che parla? Io voglio capire. Finora le «larghe intese» ci sono state solo nella fantasia dei «media». C’è stato solo e soltanto un governo di emergenza il quale sta svolgendo (bene o male) il suo compito come dimostra il semplice fatto che la destra si è rotta e che Berlusconi viene buttato fuori dal Senato. Queste sono le «larghe intese»? Ma smettiamola.

Se si vuole un altro governo lo si dica e si dica come e con chi si pensa di governare in presenza dei problemi enormi che ho ricordato. Si dica come si pensa di evitare che l’Italia arrivi senza governo alla sua presidenza di turno dell’Europa. Si dica alla povera gente quale prezzo spaventoso pagherebbe se precipitassimo in una crisi di regime. Si dica a Vendola che nessuna sinistra riparte dal caos, essendo questo il brodo di cultura degli avventurieri.

Se Renzi è intelligente capirà il senso dei miei interrogativi. Io non ho nessuno ostilità nei suoi confronti. C’è in me soprattutto una grande preoccupazione. Guai se il Pd cessasse di svolgere quel ruolo di garante dell’asse di governo dell’Italia che vuole restare in Europa, e di baluardo di fronte al torbido gioco che si sta facendo per far saltare il nostro fragile equilibrio costituzionale. Io l’ho visto tanti anni fa quanto è costato fondare una repubblica parlamentare fondata sul lavoro. Eviterei di ricominciare.

Alfredo Reichlin

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