Precari a vita?

Approvato alla Camera il ddl Gelmini, mentre in tutta Italia si protestava.

Come sapete, ieri è stata approvata alla Camera la cosiddetta “riforma Gelmini” sull’Università, quel disegno di legge contro cui in tutta Italia studenti, ricercatori, persino alcuni rettori stanno protestando. Da Palermo a Trieste, un no deciso di tutto il mondo dell’Università ad un sistema che peggiorerà la qualità dell’istruzione. E renderà i giovani ricercatori, già ora precari, precari a vita.  Ieri sono intervenuto in Aula proprio sull’articolo 21 del ddl Gelmini. Ecco il mio intervento.

On.le Ministra,

lei commentando le civili proteste del mondo universitario ha più volte affermato che non comprende come mai oggi tutti protestino, studenti, personale tecnico-amministrativo, giovani ricercatori, personale docente strutturato, persino qualche ordinario, normalmente refrattario ad azioni di protesta, ed oggi persino alcuni rettori.

Credo che la risposta sia piuttosto semplice. Si è ricreata quella universitas, di medioevale memoria,  perché finalmente si è compreso il rischio che stiamo correndo, a causa delle vostre improvvide politiche: quello di vedere definitivamente pregiudicato il futuro della nostra Università e della ricerca.

Altro che lotta ai privilegi dei baroni!

L’Università italiana ha saputo fino ad oggi, anche fra mille difficoltà, mantenere un livello dignitoso della didattica e della produzione scientifica che posiziona il nostro Paese tra le prime nazioni industrializzate, nonostante il basso numero di ricercatori e le scarse risorse finanziarie di cui dispone.

Ciò è stato possibile fondamentalmente grazie all’impegno di decine di migliaia di lavoratori precari impegnati a vario titolo nell’Università.

Sono quei semi-analfabeti di cui ha parlato con disprezzo l’On.le Martino, e ai quali mi onoro di appartenere.

Una generazione di ricercatori e di ricercatrici di cui il nostro Paese ha estremo bisogno.

A questi ricercatori che provengono da un lungo cursus di precariato – dottorato di ricerca, post dottorato, assegni di ricerca, contratti vari – cosa proponete? Nuovo precariato!

Sembra quasi vi sia un accanimento nei confronti di una generazione per la quale la precarietà lavorativa, assurta ormai a regola, si trasforma in precarietà esistenziale.

Altro che politiche per la famiglia!

Una generazione di cui lei, anche per ragioni anagrafiche, dovrebbero comprendere il dramma, specie oggi che anche lei è una ministra “precaria”.

Con l’articolo 21 i ricercatori saranno selezionati con il cosiddetto «tenure-track»: nuovi contratti a tempo determinato seguiti da un contratto triennale.

Al termine del secondo contratto, si vedrà.

La verità è signora Ministra che il reclutamento, che rappresenta un elemento essenziale per il futuro delle Università, è fortemente condizionato da tutte le scelte di carattere economico effettuate da questo Governo.

Condizionare l’inserimento dei ricercatori alla disponibilità delle risorse, senza accantonarle oggi, rappresenta una mortificazione per i ricercatori, che sarebbero costretti ad investire il loro tempo ed il loro lavoro in un percorso incerto.

Il sistema che proponete in sostanza certifica che dopo altri  otto anni di precariato, al di là delle capacità dimostrate, delle abilità accertate, e della performance, è possibile che non ci siano fondi per l’assunzione.

Nessuna corrispettività. Al ricercatore si chiede di investire la propria intelligenza, il proprio tempo la propria vita, mentre l’Università non investe nulla, si tiene le mani libere.

Una mortificazione per i ricercatori che smaschera definitivamente il falso taglio degli sprechi e la falsa meritocrazia.

Sarebbe stato, invece, necessario un significativo ingresso di giovani nel sistema universitario per poter evitare all’Università una carenza di capacità didattica e di ricerca.

Mi si consenta in conclusione una digressione di carattere personale. Quando iniziai la carriera universitaria un importante docente della mia Università, citando Russel, mi disse: ricordati, la ricerca è solitudine e libertà. Scoprii presto che nell’Università italiana la solitudine è garantita, la libertà no.

Io direi solitudine, libertà e i mezzi necessari, in mancanza dei quali potranno ricercare i più dotati di mezzi e non i più dotati di propensione alla ricerca. Ciò sarebbe un danno per il Paese e una grande ed inaccettabile ingiustizia sociale.

La libertà si garantisce con risorse e valorizzazione del merito,  ma di questo voi non vi occupate.

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