Concita De Gregorio su L’Unità – 21 luglio 2010
Consiglierei prudenza a cantare vittoria sulla cosiddetta retromarcia di governo sulla legge bavaglio, ed aspetterei a salutare i finiani come salvatori della patria. Come andiamo scrivendo fin dal primo giorno in relativa solitudine, il cuore e lo scopo di questa legge non è tanto mettere il bavaglio ai giornalisti quando legare le mani agli inquirenti e ai magistrati. Detto molto semplicemente: se le intercettazioni non si possono usare come strumento di indagine (o se lo si può fare solo in modo limitatissimo) i giudici non potranno indagare, di conseguenza i processi non si faranno, di conseguenza i giornali non scriveranno. Ripristinare la possibilità di raccontare le indagini lasciando intatte le limitazioni alle medesime è una truffa per allocchi. In questo senso abbiamo detto subito: attenzione che il bavaglio alla stampa non sia lo specchio per le allodole, il motivo dell’indignazione corale della categoria – giornali di destra, di sinistra, tutti – tale per cui non basti dopo gettare l’osso al cane per placarlo, ecco vedete, vi lasciamo scrivere, peccato che non risultino intese politiche nel centrodestra né emendamenti finiani per sbloccare invece l’uso delle intercettazioni le quali ancora oggi, nella versione migliore, dopo i primi 75 giorni potranno proseguire di 15 in 15 solo per decisione di un organismo collegiale. Per intenderci, restando solo alle cronache dell’ultimo mese: nessuna delle conversazioni tra i faccendieri della P3 è stata intercettata nel primo mese e mezzo di indagini. Del sistema di intimidazione e ricatto di cui è innervata la politica degli affari di Cesare, dunque, non sapremmo niente. Per gentile concessione, poi, di questo niente saremmo liberi di scrivere.
Inoltre. Fin dal dicembre scorso, quando l’Unità ha dato per prima e per molto tempo inascoltata la notizia dell’acquisizione illegale da parte di Berlusconi del file contenente le intercettazioni Fassino-Consorte, abbiamo detto: ci sono due criteri di concepire la giustizia. Per uso proprio, per uso altrui. Dal caso Boffo alla telefonata con cui Berlusconi avverte Marrazzo dell’esistenza di un video fino al nastro su Fassino: con una mano il premier e i suoi giornali usano documenti veri o falsi per colpire i nemici, con l’altra si scrive una legge perché non si possa indagare sugli amici. Non una legge bavaglio, dunque: una legge salva cricca. Quello delle intidimidazioni e dei ricatti è il Sistema attraverso cui agiscono i sodali di Cesare. Questa legge vuole impedire alla magistratura di fare in modo lecito quel che la politica di governo fa in modo illecito. Non è una legge inutile, come penosamente Berlusconi dice puntando intanto a farla approvare il prima possibile. È una legge liberticida e deve essere ritirata.
P.s. Invito chi non l’avesse fatto a leggere l’intervista che il pm di Caltanissetta Nico Gozzo ha concesso due giorni fa a questo giornale. Ieri in commissione Antimafia, audizione secretata, ha ripetuto: nelle stragi del ’92 furono coinvolti pezzi dello Stato, personaggi di primo piano della politica. Stragi di Stato. Anche questa, come la parola golpe, è una locuzione in disuso. Conviene ripristinarla. Molto di quel che accade si spiega a partire da lì. Illumina certe repentine fortune di ieri, certi ossessivi timori di oggi.
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