Termini Imerese: le scelte sbagliate del Governo

martedì 30 marzo – il mio intervento alla Camera dei Deputati

Oggi qui non discutiamo di una vicenda siciliana, per lo meno non solo siciliana, spero che il Governo e la maggioranza abbiano questa consapevolezza.
Inoltre spero non si cada nel tranello di ritenere  che si stia chiedendo di tenere aperto uno stabilimento non competitivo.

Ma qui oggi discutiamo di altro: discutiamo del tributo che il Paese sta pagando alle scelte sbagliate di politica industriale del governo.

L’italianità usata come clava, come “arma di distrazione di massa” durante la vertenza Alitalia, dove è finita?
Usando quell’arma si è compiuta una delle scelte che più di ogni altra ha influito e caratterizzato negativamente il modo di affrontare la crisi economica.

Avere azzerato il Fondo di competitività di industria 2015, dando 450 milioni per Alitalia è stato un errore grave, si sono sottratte risorse alla ricerca e all’innovazione industriale. Ma è anche il sintomo di quali siano le priorità del Governo: tutte orientate verso il Nord e gli interessi industriali di quell’area.

Oggi, anche oggi, in questa vicenda paghiamo il prezzo di quella scelta sbagliata e di quell’orientamento culturale che vede il Mezzogiorno come una palla al piede. Oggi più che mai sarebbe il caso di usare l’argomentazione dell’italianità, di fronte alla più grande azienda manifatturiera del Paese, in un settore strategico come quello dell’auto.
Quando qualche mese, per primi lanciammo l’allarme di un possibile disimpegno nello stabilimento di Termini Imerese, nel tentativo di rassicurarci, il Governo (SAIA) definì Fiat “un’industria manifatturiera d’importanza cruciale per il nostro Paese”.
Qualcosa nei rapporti con Fiat è cambiato, evidentemente la presenza strategica dell’azienda in I’Italia, per quanto concerne stabilimenti, prodotti e occupazione non viene più considerata prioritaria.
La Fiat è sempre meno italiana.

Il principale mercato di produzione e vendita è il Brasile, la Polonia sta superando l’Italia come importanza, l’accordo con Chrysler sposterà inevitabilmente l’asse della Fiat dall’altra parte dell’oceano. Le rassicurazioni anche di questi giorni dei vertici aziendali sembrano più rivolte agli azionisti italiani, non sono certo dirette alle organizzazioni sindacali e agli operai, e dovrebbero allarmare il governo.
Anche in questa vicenda si manifestano, per l’ennesima volta, i limiti dell’azione di Governo del centrodestra.
Ostaggio della Lega che ne determina pesantemente tutte le scelte.

La chiusura della Fiat di Termini Imerese sarebbe l’ ennesima, pesante sconfitta della politica del centrodestra e dei governi di Palermo e di Roma.

Ma faccia attenzione il governo,  la chiusura di Termini rappresenterebbe il primo passo di una «deitalianizzazione» della Fiat: un processo che riguarda tutto il gruppo e non il solo impianto siciliano.
Una perdita, una sconfitta che il Paese non può permettersi.

L’ Italia non è più “il mercato” della Fiat ma solo uno dei suoi mercati, e i destini dell’ una e dell’ altra non sono più inestricabilmente legati come lo erano in passato.

Questo Governo potrà vantare un record: l’unico stabilimento automobilistico chiuso. Termini Imerese sarebbe l’unico stabilimento che chiuderà, l’unico in Italia, l’unico in Europa. Quando si dice il governo del fare

La difesa degli stabilimenti industriali italiani e dei livelli occupazionali non hanno rappresentato una priorità del Governo

A farne le spese, purtroppo, saranno gli operai di Termini, di una multinazionale italiana che va a salvare decine di migliaia di posti di lavoro negli Usa mentre decide di chiudere lo stabilimento siciliano, per altro lautamente incentivato con finanziamenti pubblici, diretti e indiretti.

FIAT, pochi mesi fa dichiarava di non voler chiudere gli stabilimenti del sud “nonostante le criticità degli stessi”
L’aver utilizzato gli incentivi come una pietra dello scandalo prima, e come arma di ricatto dopo, evidentemente ha prodotto i suoi frutti.

È incredibile che nel decreto-legge incentivi, di cui abbiamo sentito parlare per mesi, si sia inserito di tutto: un rosario di contentini elettorali imbarazzanti, elargiti a grandi mani, utilizzando ancora una volta, fondi destinati al Sud.

Prosegue una politica antimeridionalista, disastrosa che ha avuto la sua degna conclusione nell’annuncio-beffa del ministro Brambilla che presenterà un progetto di legge per incentivare lo sviluppo degli impianti di golf.

Un aiuto non si nega a nessuno, su Fiat è invece proseguita la visione datata che considera Fiat solo un costo e non anche una grande opportunità per il nostro Paese: una visione sconsiderata.
Tutti i grandi Paesi occidentali investono nell’auto elettrica e non lasciano sole le loro società automobilistiche.

Il modo di affrontare la crisi dell’amministrazione USA avrebbe dovuto rappresentare un  esempio su come uscire dalla crisi.
E proprio l’idea di puntare su Fiat da parte degli Usa avrebbe potuto suggerire che in Fiat c’è il know how, ci sono le conoscenze e le capacità per disegnare una politica industriale nuova e moderna: basata su alti livelli di innovazione e sostenibilità ambientale  che valorizzasse gli stabilimenti esistenti e ne garantisse i livelli occupazionali.
Sarebbe bastato seguire l’esempio Usa per non fare danni,  ma a determinare le scelte del governo sono sempre spinte elettorali ed ideologiche.

In Italia vengono prodotti meno veicoli di quanti ne vengono venduti; sarebbe necessario invertire questa tendenza.
Il governo dovrebbe incentivare l’arrivo nel nostro Paese di altri produttori di auto, ponendo la condizione, però, della creazione di modelli ad elevato livello di innovazione e sostenibilità ambientale, come l’auto elettrica.

Oggi siamo qui a discutere perché le risorse contro la crisi sono state poche e spese male. non c’è stato un piano che aggredisse le criticità che si presentavano ma piuttosto un piano di comunicazione che ha cercato di edulcorare, con una narrazione fatta di speranze e promesse, una crisi durissima che ha pesato per intero sui salariati e sui lavoratori precari.

Troppa enfasi è stata data all’aumento delle risorse per gli ammortizzatori sociali, che riguardano solo una piccola parte dei lavoratori, dai quali sono rimasti esclusi i precari, nonostante le promesse e gli impegni.

Scontiamo infine, una delle scelte antimeridionaliste di questo governo, di aver scelto di utilizzare per le quote latte le risorse destinate al Sud.

Aver dirottato sull’esenzione dell’ICI i fondi per le infrastrutture al Sud ha aumentato il deficit infrastrutturale della Sicilia, che rappresenta una delle esternalità negative denunciate da fiat come causa del disimpegno dello stabilimento di Termini, e probabilmente rappresenterà uno degli elementi che caratterizzerà negativamente, le trattative con chi ha manifestato interesse per lo stabilimento.

In questa vicenda non c’è un solo atto di governo, un solo atteggiamento che abbia contribuito ad una soluzione positiva di una vicenda dolorosa per migliaia di famiglie siciliane.
Le sbandierate offerte ricevute, alla prima superficiale verifica sono state drasticamente ridotte di numero e si è evidenziato un interesse che riguarda lo stabilimento e che non garantisce i livelli occupazionali.

Come intende il governo tutelare socialmente quelle aree territoriali e i comuni vicini allo stabilimento? quei comprensori cioè che hanno strutturato la propria economia intorno all’industria dell’automobile. Chiediamo che il Governo si faccia carico delle preoccupazioni di chi rischia di perdere lavoro, di chi vive il dramma di come pagare il mutuo o l’affitto, di chi teme di non avere più le risorse per poter garantire ai figli di studiare e, quindi, sperare in un futuro dignitoso.
Il Governo deve davvero farsi carico del dramma di chi già oggi, fuori da ogni retorica, non ce la fa ad arrivare a fine mese.

Gli operai, i tecnici e i lavoratori di Termini non chiedono assistenza ma semplicemente ciò che dà dignità e senso ad un uomo, chiedono di poter continuare a lavorare e di contribuire a far grande la FIAT, come hanno fatto in questi anni.

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