Tragedia di Messina: la mia solidarietà e la mia rabbia

foto da repubblica.itIn questo momento tragico per i messinesi, per chi ha perso la vita, un parente, per gli sfollati che si ritrovano senza casa, non si possono sottacere le responsabilità pesanti di chi sapeva e non ha fatto nulla. Appena due anni fa, era il 2007, le stesse zone oggi trasformatesi in un cimitero per decine di abitanti erano state invase da un fiume di fango. Case e auto erano state distrutte, ma fortunatamente senza altre e più gravi conseguenze.

Il disastro di oggi era un disastro annunciato da tempo, come quello che colpì Sarno e Quindici, era il 1998. A Giampilieri come a Sarno un pezzo di collina è franato su case, uomini e donne. A Giampilieri come a Sarno la spregiudicata cementificazione edilizia unita ad un’irrazionale e costante opera di disboscamento hanno dato origine a tragedie evitabili.

Giampilieri come Sarno, come chissà quanti altri piccoli o grandi comuni d’Italia, della Sicilia e della mia Catania – subito mi viene in mente la collina che sovrasta Acicastello – sono a rischio idrogeologico per la noncuranza di amministratori ciechi e sordi rispetto alle questioni ambientali.

14 comments to Tragedia di Messina: la mia solidarietà e la mia rabbia

  • Laura Buonocore

    Francamente ne dubito.

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  • Gianni Di Luigi

    Che paese da operetta siamo diventati. Tragica, ma pur sempre operetta. Ci libereremo mai da tale mentalità meschinamente amorale?

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  • Ottavio Russo

    Fa un certo effetto leggere, dall’alto in basso, prima il post sulla tragedia di Messina e poi la polemica sullo scudo fiscale. Due interventi intrecciati che la casualità ha voluto uno accanto all’altro, visto che la valanga di fango ha colto Giampilieri proprio nel mezzo della discussione sul rientro dei capitali illecitamente occultati all’estero.
    Perché a mio avviso i 2 fatti sono una evoluzione della medesima mentalità. Altro che inasprire le pene per chi con costruzioni abusive minaccia la vita della gente. Qui si pensa a depenalizzare di tutto. Lo scudo fiscale ne è prova lampante.

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  • Giorgio Acquaviva

    Troppo palese è la simpatia del premier per certi comportamenti discutibili perché chi li pone in essere non si senta protetto ed in qualche modo addirittura legittimato.
    Del resto, perché non costruire sul greto di un fiume se nessuno ti dice nulla? Solo perché si rischia la vita propria e degli altri? No, impossibile che nell’Italia di oggi ciò sia suffiente. Che amarezza.

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  • Valentino Manduchi

    Non mi sembra proprio che Berlusconi sia in sintonia con simili soluzioni. Qui fra un po’ si depenalizza anche l’uxoricidio.

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  • Non cambierà nulla. Il problema degli abusivi (sia che costruiscano case, sia che facciano altri illeciti) in Sicilia e nel Sud Italia è un problema risolvibile solo con apposite modifiche dei codici. Pene oltremodo severe, altro che condoni. E chi causa morti, come a Giampilieri, deve finire il galera per il resto dei suoi giorni.

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  • Arturo

    Il problema dell’abusivismo edilizio in Sicilia è una piaga fra le più pericolose. Ci vuole tanto a capire che certe pratiche scellerate fanno rischiare la vita alla gente. Vediamo proprio se ora cambia qualcosa.

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  • Valerio Tropea

    Vero, sono rimasto di sale. Ed anche un po’ assai disgustato. Una faccia tosta incredibile.

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  • Anna Marettimo

    Incredibile la difesa dei due sindaci (padre e figlio) di Giampilieri. Delle facce toste da paura, in gardo di difendere l’indifendibile, tipo la costruzione di un palazzo di 5 paini sul greto di un torrente.

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  • Antonio Musumeci

    Ci vorranno decenni e decenni per ovviare agli sfasci della Sicilia. Sempre che i siciliani prima o poi vogliano porre mano alla “pratica”…

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  • Gianna Valenti

    In Sicilia per decenni si è fatto scempio del territorio. Vediamo se con una cinquantina di morti cambia qualcosa e si comincia ad considerare gli abusivi criminali da buttare in galera e basta.

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  • Valentina Moreschi

    La natura purtroppo presenta sempre il conto di certe follie, irrispettose innanzitutto della vita umana.

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  • Ennio Costanzo

    Le tragiche notizie provenienti dal messinese se per un verso ci suggeriscono un atteggiamento di raccoglimento per le vittime di una tragedia il cui bilancio non è ancora definitivo, e di sostegno per le persone impegnate nel difficile lavoro di soccorso alle popolazioni, dall’altro debbono spingerci ad una riflessione a caldo su una tragedia causata dalla scarsa o nulla attenzione prestata dai governi nazionale e locali alla fragilità del territorio che dopo decenni di incuria e sfruttamento è interessato dalla generalizzazione del rischio di dissesto idrogeologico.
    In questo quadro è improcrastinabile ragionare sul servizio di Protezione Civile e sul concetto di prevenzione e mitigazione dei rischi, infatti mai come in questo caso è evidente la contraddizione fra le attese dell’intervento salvifico della PC nell’emergenza, ed il sostanziale fallimento della stessa struttura quando deve assolvere alla funzione di prevenzione.
    Se non vogliamo che Messina e la sua Provincia diventino l’ennesimo palcoscenico in cui il Presidente del Consiglio reciti il solito copione di “Uomo della Provvidenza” nel silenzio attonito delle comunità disastrate e di chi non ritiene opportuno “in questi momenti” disturbare il manovratore esprimendo dubbi e pareri fuori dal coro, è bene cogliere occasioni come questa per ragionare su come vorremmo che funzionasse la Protezione Civile in Italia.
    Negli ultimi anni è cresciuta la percezione dell’importanza del servizio di Protezione Civile (PC) e sono aumentate le occasioni di intervento di detta struttura, così che oggi la notorietà del Capo del Dipartimento di PC Guido Bertolaso è almeno pari, se non superiore, a quella di molti ministri.
    Ma il ricorso alle prestazioni della PC presenta notevoli ombre, specialmente se esaminata alla luce dei poteri speciali di cui essa gode che, se gestiti non ai fini di offrire un servizio reso alla collettività, possono portare ad una sospensione dello stato di diritto.
    Questi strumenti speciali sono: la dichiarazione dello stato di emergenza, il potere dell’ordinanza, che può andare in deroga all’ordinamento giuridico e non passa per la Corte dei Conti, e la nomina del commissario straordinario che assume pieni poteri.
    A fronte di un’emergenza, reale o indotta, il ricorso all’uso del binomio “pieni poteri – delega legislativa” implica che nel luogo e nel tempo dell’emergenza ci sia nei fatti una sospensione dello stato di diritto, la tradizionale ripartizione dei tre poteri dello Stato è sospesa a vantaggio del solo potere esecutivo che assumendo i pieni poteri realizza nei fatti una dittatura governamentale che può imprimere sul territorio una vera e propria violenza istituzionale se non una deviazione della sua missione come sembra accadere oggi davanti alla gestione inquietante che si fa della PC sul territorio.
    Un esempio è il recente decreto Abruzzo che affida al commissario straordinario il potere di decidere dove, come, quando e in che modo costruire i villaggi senza passare per il parere delle autonomie locali, con l’aggravante che qualsiasi lavoro infrastrutturale verrà previsto sul territorio comporterà automaticamente variante al piano regolatore.
    Un altro esempio è dato dal decreto sui rifiuti in Campania che testimonia come nel paese si sono realizzati, a Costituzione vigente, due regimi legislativi differenti, uno valido per il solo territorio campano e l’altro valido per il resto del Paese.
    Le Politiche di PC dal 2001 hanno subito un viraggio istituzionale rappresentato dal furbesco innesto, tra le attività di PC, dei cosiddetti Grandi Eventi. La PC è divenuta così, in questo modo, un potente strumento in mano al presidente del consiglio che può in questo modo decidere, fare, e spendere senza passare per gli organi di controllo previsti dal nostro ordinamento. I Grandi Eventi (dalla regata velica alla conferenza episcopale passando per alcune beatificazioni…) hanno rappresentato una rottura con il principio di protezione civile intesa come servizio e l’attuale governo ne sta abusando, tanto che là dove non arriva con i decreti legge ricorre agli strumenti di PC e il Parlamento è svuotato definitivamente di contenuti e l’ordinamento istituzionale minato dall’interno.
    Tale prassi ha messo altresì in evidenza la difficoltà che hanno gli amministratori nel governare il territorio con l’attuale impianto normativo ordinario, per cui sono essi stessi a chiedere che gli venga concesso lo stato di emergenza per uscire dall’impasse amministrativa, come nel caso dei poteri e delle risorse assegnate all’ex Sindaco di Catania Scapagnini in nome dell’emergenza traffico.
    Invece l’idea di PC deve legarsi alla gestione ordinaria del territorio nel quadro di una cultura etica e di una prassi dello sviluppo sostenibile.
    Una PC corrispondente a tali principi non può che essere quella voluta dai fondatori: trasparente, democratica, partecipata, distribuita, sistemica, incentrata sulla promozione dell’autodifesa, dell’autoprotezione e dell’autodeterminazione, a servizio del cittadino e del territorio ed ossequiosa del principio di sussidiarietà con i poteri straordinari fattivamente distribuiti su vari attori e non concentrati su un’unica figura. Una PC fortemente ostativa alla pratica della sostituzione e dell’esautoramento, e che valorizzi l’associazione spontanea di cittadini in forme di volontariato volto ad attività prettamente sociali.
    La PC del 1992, frutto di un compromesso politico fra culture riformiste, è stata bruscamente interrotta nel 2001, dal governo delle destre, che ha riaffermato il ritorno ad una PC verticistica, sconnessa dal territorio, autoritaria, autoreferenziale e paramilitare.
    Occorre ritornare ad una PC che consideri ugualmente importanti tutte le sue attività: la previsione, la prevenzione, la preparazione dell’emergenza, il soccorso e la ricostruzione, portandole avanti secondo i principi della progettazione e gestione partecipata, della sussidiarietà e dell’autoprotezione.
    L’intreccio tra PC e territorio si declina nelle due attività principali alle politiche di PC: previsione e prevenzione; esse si connettono fortemente alla pianificazione urbanistica e territoriale fornendo loro indicazioni in relazione alla sicurezza territoriale, garantendo così sia l’integrazione dei criteri di sicurezza nelle scelte di pianificazione, sia la disponibilità di risorse strutturali per la gestione dell’emergenza.
    Anche la quantificazione del rischio accettabile e sostenibile deve essere fatta in raccordo ai pianificatori territoriali in quanto essa delinea i limiti dello sviluppo sostenibile di una comunità in termini di urbanizzazione del territorio.
    I programmi di previsione e prevenzione e piani di emergenza, che sono gli strumenti attraverso i quali oggi vengono portate avanti le attività di PC, quindi dovrebbero fortemente interagire, essere integrati negli strumenti di pianificazione e programmazione territoriale ed urbanistica.
    Assistiamo invece ad una gestione sempre più spettacolarizzata del Dipartimento di PC, ormai supporto indispensabile al mito del Presidente del Consiglio come “uomo del fare”.

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  • Ragazzo di Periferia Agatino A.

    La solidarità in questo momento terribile la lotta contro il tempo….contro la forza della natura…indifesa per la vita per salvare una vita…l’impegno costante per tutti a prendersi cura ogni giorno del bene comune dell’uomo…

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