UN COMPROMESSO ANTIDEMOCRATICO

Una interessante e condivisibile analisi di Nadia Urbinati uscita oggi su La Repubblica.

UN COMPROMESSO  ANTIDEMOCRATICO

NADIA URBINATI *

oligarchiaSi invoca in queste ore convulse il “compromesso” per non applicare la legge Severino. Gli esponenti del Pdl lo auspicano, accusando di intransigentismo chi si ostina a lasciare che quella legge valga per il condannato illustre Silvio Berlusconi come per chiunque altro si trovasse al suo posto.

Se non che, Berlusconi non vuole essere considerato ” come” qualunque altro, nonostante la legge “uguale per tutti” lo voglia. La legge non rende tutti uguali; ma si impegna (con il nobile patto costituzionale) a trattare tutti, diversi e diseguali, con le stesse procedure e le stesse regole che presiedono al giudizio; e tutto questo perché quel patto dà a ciascuno un voto e uno solo. Uno stesso peso di potere decisionale, nonostante i pesi sociali ed economici siano molto diversi e perfino sproporzionati. Proprio per questo, il nobile patto costituzionale promette a tutti che la legge sarà applicata ugualmente. Il criterio del “come se” è l`anima della norma e governa l`articolo 3 della Costituzione. Esso limita e regola ogni possibile “compromesso”.

Pensatori e leader politici, a destra come a sinistra, hanno nei secoli criticato questa fictio del “come se”, dell`immaginaria uguaglianza che, come un velo nemmeno troppo spesso, pretende di coprire corpi solidamente piantati in società con le loro diseguaglianzeirrisolvibili. A sinistra, la soluzione radicale prospettata è stata l`eliminazione anche forzata delle disuguaglianze economiche per realizzare compiutamente l`eguaglianza della legge. A destra, la soluzione proposta nei secoli è in pratica la stessa di quella che sentiamo ripetere oggi dagli esponenti del Pdl: non illudiamoci di essere tutti uguali, nonostante la legge lo dichiari e lo prometta; la realtà è quella che è; e che ci piaccia o no noi siamo tutti diversi e, inoltre, alcuni di noi sono molto più importanti e rappresentativi, e non possono essere piegati alla stessa procedura giudiziaria, alla stessa legge. Forse hanno sbagliato; ma sono così forti nella sfera della società e dell`opinione da dover essere trattati diversamente per il bene di tutti. La democrazia costituzionale non si piega però né all`egualitarismo della sinistra radicale né ai ricatti della destra oligarchica.

Nella democrazia antica, gli oligarchi consideravano la legge uguale come la vendetta dei molti contro i pochi; segno di invidia e di desiderio di livellamento. Nell`Italia democratica questa idea ritorna: Berlusconi, si pensa, è così potente e rappresentativo da non poter essere condannato a subire le conseguenze della legge.

Fino a quando non tocca i potentissimi, la legge è elogiata proprio perché promette di non guardare in faccia nessuno (Berlusconi stesso ha sostenuto con fo rza la legge Severino). Ma quando si volge ai p otenti, allora qu e sti reclamano un diverso trattamento e vogliono che la legge riverisca la loro diseguaglianza di condizione.

Essi dicono, inoltre, che anche volendo non possono essere trattati come gli altri, perché la loro forza sociale è così imponente che una loro rovina rischierebbe di trascinarsi dietro l`ordine costituito.

Quindi, ai molti conviene scendere a patti con i pochi. Questo è l`argomento che torna oggi sotto le sembianze del “compromesso”. La soluzione invocata è l`eccezione: si dice che occorre che i protagonisti politici, s e vogliono continuate nella loro collaborazione di governo, accettino di mettere un velo sulla legge invece che sulle diseguaglianze sociali. Ecco allora l`invocazione del “compromesso ` per il bene del paese: proprio perché il cittadino Berlusconi è così potente da poter portare, con la sua rovina politica, grave rischio alla stabilità occorre agire con prudenza.

Si tratta dello stesso ragionamento degli oligarchi del passato: chi non è mai stato uguale può, se incorre nella legge uguale, rivoltarsi e reagire duramente con grave danno di tutti. E in questa ottica che viene oggi invocato il compromesso- il quale, come si intuisce, non è un compromesso vero e proprio ma una sfida dell`oligarchia alla democrazia.

Qualche settimana fa il ministro Quagliariello ha comparato l`attuale situazione di crisi a quella che soffrì l`Italia dopo la Prima guerra mondiale, quando i due maggiori partiti- i popolari e i socialisti -, interstarditi sulle rispettive posizioni, non si avvidero che il vero nemico del bene del paese stava nella loro incomprensione della situazione di necessità nella quale si trovava; una situazione che avrebbe richiesto un coraggio supplettivo. Scriveva Quagliariello, perorando la causa di un “alto compromesso” per salvare Berlusconi, che l`ultima volta in cui “le parti in campo rifiutarono il coraggio di un alto compromesso (…) quelle parti erano i socialisti e i popolari e si era agli inizi degli anni Venti del secolo scorso. Sappiamo com`è andata a finire. Evitiamo che la storia si ripeta, anche perché la situazione dell`Italia è tale che il refrain non avrebbe nemmeno la levità di una farsa”. Non è chiaro in quest`analogia chi svolga oggi il ruolo che allora copriva Benito Mussolini e il suo Partito fascista, il pericolo rispetto al quale popolari e socialisti avrebbero dovuto siglare quell`alto compromesso.

Nel primo dopoguerra, i protagonisti erano tre- popolari, socialisti e fascisti – e il fallito compromesso tra i primi due favorì il terzo. Ma oggi i protagonisti sono due. A meno che il partito di Berlusconi non copra due ruoli: quello di contraente dell’ipotetico compromesso e quello di portatore del ricatto del danno estremo di  instabilità.

L`alto compromesso sarebbe una Caporetto per la democrazia costituzionale. “Alto” sarebbe per una parte, che otterrebbe un guadagno della cui portata c`è da temere (e che alimenta l`idea sotterranea di una riforma in senso semi-presidenziale della forma di governo). La soluzione non sarebbe un compromesso, in quanto un accordo tra i due partiti che sostengono il governo per salvare la vita politica di un condannato in terzo grado di giudizio risulterebbe in una vera e propria dichiarazione di disuguaglianza della legge. Perché chiamarlo “compromesso” se favorisce sproporzionalmente una parte imponendo all`altra di accettare quelle condizioni, prendere o lasciare, pena l`instabilità dell`ordine costituito? Nella vita politica delle democrazie, il compromesso è pane quotidiano. la trattativa tra partiti per formare un governo o quella per siglare un`alleanza di governo sono esempi di compromesso. Ma stravolgere la legge affinché un oligarca sia esonerato dal rispettarla non sarebbe un compromesso; sarebbe una capitolazione per la democrazia, un velo sull`articolo 3 della Costituzione.

 

* Nadia Urbinati, titolare della cattedra di Scienze Politiche alla Columbia University di New York, come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica, è membro nel Comitato Scientifico dell’Associazione Reset.

Come autrice ha pubblicato saggi sul liberalismo, su John Stuart Mill, su individualismo, sui fondamenti della democrazia rappresentativa, su Carlo Rosselli.

Collabora con i quotidiani La Repubblica, Il Fatto quotidiano e con Il sole 24 ore. Negli Stati Uniti è stata condirettrice della rivista Constellations.

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