Sui manifesti elettorali allude ad un ipotetico “sogno siciliano”. Un sogno che stava per trasformarsi nel peggiore degli incubi se l’altro ieri in Commissione Lavoro non fossimo riusciti a bloccare una risoluzione stantia nei contenuti e pericolosa per le modalità con cui è stata proposta. Protagonista dell’iniziativa è giustappunto il sognatore Gianfranco Micciché, candidato alla presidenza della Regione Sicilia che proprio per la Sicilia e per il Sud aveva pensato di intervenire per risolvere il problema meridionale. Come? Con le “gabbie salariali”. In poche parole collegando i salari dei lavoratori al costo della vita, dunque riducendoli di fatto fino alla soglia di sussistenza, perché tanto al Sud si campa con poco e quel poco costa meno che altrove. E se poi c’è da incidere anche sulle tutele ai lavoratori facciamolo pure in barba ai contratti nazionali di lavoro.
Mercoledì 19 in Commissione Lavoro alla Camera abbiamo discusso la risoluzione presentata da Miccichè intitolata “Iniziative nei confronti delle parti sociali per la revisione dei contratti nazionali di lavoro in favore dello sviluppo del Mezzogiorno”. In sostanza, per l’ex sottosegretario del governo Berlusconi il modo per risolvere la questione meridionale e rilanciare l’economia del Sud Italia sarebbe stato quello delle “gabbie salariali”.
Una risoluzione su cui sono intervenuto, assieme ai colleghi del Partito Democratico, riuscendo ad ottenerne uno stop con il consenso del Governo, rappresentato dal viceministro Michel Martone.
A parte il fatto che il tema dello sviluppo del Sud non può essere utilizzato strumentalmente a fini elettorali, come sembra abbia fatto Micciché che non si è mai distinto in passato per aver fatto chissà che per il Sud, pur avendo ricoperto importanti cariche istituzionali sia a livello nazionale che locale, ho tenuto a precisare come la risoluzione presentata dal leader di Grande Sud proponga forme di intervento a dir poco superate. Iniziative di cui è già stata sperimentata in passato l’inefficacia e che non affrontano il nodo fondamentale della questione, rappresentato dalla reale esigenza di promuovere lo sviluppo del Meridione.
Piuttosto che ridurre ulteriormente le tutele per i lavoratori, richiamando formule desuete e dannose come le cosiddette “gabbie salariali” a cui sembra fare simbolico riferimento la risoluzione di Micciché, sarebbe piuttosto necessario avviare politiche vere – come quelle messe in campo dai precedenti Governi di centrosinistra – che puntino a valorizzare le risorse del Sud (che siano naturali, paesaggistiche, monumentali, culturali…), attraverso il rilancio dei settori strategici dell’innovazione e della ricerca.
E poi, si può mai pensare di stravolgere i contratti nazionali di lavoro senza coinvolgere le parti sociali? E si può mai pensare che togliere ancora soldi dalle buste paga di chi lavora possa mai creare sviluppo e ricchezza per il Sud dove già la povertà è un dramma serissimo?
Insomma, un adeguato sviluppo del Mezzogiorno non può essere conseguito attraverso misure che determinano un abbassamento delle tutele dei lavoratori, come quelle adottate dal Governo di centrodestra in tema di deroga alla contrattazione nazionale e come quelle che erano state proposte da Micciché.
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