Camusso: Rifondare la classe politica

da “La Sicilia” del 22 luglio – intervista di Leonardo Lodato

«Bisogna rifondare i partiti e tornare alla politica collettiva, perché quella dei leader, ormai, è un disastro». Susanna Camusso, segretario gene­rale della Cgil, a Catania, parla a muso duro. Parte da un’Italia allo sbando, sempre più abbandonata a una politica senza timone, per poi scendere nei particolari della nostra isola, di una Sicilia dove il tema lavoro è di scottante attualità. A cominciare dalla vertenza Fincantieri che, proprio ieri, ha visto spuntare un barlume di speranza grazie a una commessa in grado di riportare all’operatività il cantiere palermitano.
«E’ sicuramente una notizia positiva – spiega Ca­musso – questa commessa permette di immagaz­zinare, nel medio periodo, un po’ di lavoro ma non risolve definitivamente la vertenza. Da troppo tem­po se ne discute al ministero dello Sviluppo econo­mico e sarebbe ora che si passasse a una fase ope­rativa in grado di dare la certezza del futuro a tut­ti gli stabilimenti, soprattutto nelMezzogiorno».

Se lo aspettano in particolare i giovani che non ve­dono prospettive rosee.
«Non c’è prospettiva se non si dà un futuro in ter­mini di istruzione, di rifinanziamento significativo della scuola, della ricerca, del sistema formativo in generale. Dobbiamo restituire ai giovani il diritto alla certezza. Per farlo bisogna ripensare il merca­to del lavoro perché non ci si può affidare solo ed esclusivamente al precariato. Bisogna tornare a poche forme ordinarie e, insieme, rilanciare quegli elementi di prospettiva futura legati alla politica in­dustriale».

E’ il caso di Termini Imerese.
«Sono tre anni che siamo in attesa che si definisca una strada per la reindustrializzazione. Questo di­scorso vale per Termini Imerese ma anche per tut­te le altre centinaia di vertenze aperte al ministe­ro delle Sviluppo economico, compresa Fincantie­ri. Bisogna investire su energie nuove, sul rispar­mio, su nuove modalità di edilizia. Si dice che non ci sono le risorse, invece ci sono, basterebbe sposta­re la tassazione significativamente sui grandi patri­moni, sulle grandi ricchezze, sulle rendite finanzia­rie e già questo determinerebbe una prospettiva migliore per il lavoro».

Mancano cinque mesi alla chiusura della Fiat a Termini Imerese. In campo una serie di imprese più o meno interessate agli stabilimenti, e trecento milioni stanziati dalla Regione. Come giudica la ge­stione di questa vertenza?
«Il governo Lombardo ha fatto anche cose interes­santi, ma il problema, che è di tutti i governi regio­nali e di tutta la classe dirigente, è un altro: capire, cioè, dove si vuole andare. Anche la discussione su Termini va affrontata in un altro modo, perché se ti chiedi semplicemente che rapporto c’è tra i lavora­tori impegnati lì e gli investimenti previsti, rischi di non trovare mai la soluzione. Il problema, semmai, è questo: c’è un futuro per questa regione e per questo paese se continua la dismissione delle atti­vità produttive? Io penso di no. E allora bisogna ri­partire dalle cose che abbiamo. E nel caso specifi­co di Termini, la Fiat non ci sta dando una mano. Al Lingotto continuerò a rimproverare una cosa fon­damentale: l’azienda è stata beneficiata, in passa­to, da questo Paese che ha impedito che ci fosse una concorrenza; che le ha garantito mercato e in­vestimenti. Se oggi il signor Marchionne può com­prare Chrysler lo deve anche a questo. Ci vorrebbe un governo autorevole, che non c’è mai stato, che non ha mai avuto la forza di chiamare i vertici Fiat a un tavolo e chiedergli quali sono, davvero, i pro­getti. Io ricordo bene l’ad della Fiat che spiega che a Termini Imerese si lavora meglio che negli altri stabilimenti. E allora non puoi venire due anni do­po a dire: chiudo la saracinesca e butto via la chia­ve. Questo mi pare il vero problema di un settore che vale l’11% del Pil italiano. Penso che Marchion­ne faccia una politica apparentemente disponibi­le all’ingresso di altri produttori ma che, in realtà, non dà spazio a nessuno, per cui le offerte arriva­no e spariscono. Non si capisce in che condizioni verrà lasciato lo stabilimento, poi scopri che si parla di un produttore che è lo stesso con cui la Fiat sta trattando per la fabbrica di Grottaminarda. Questo Paese, se non rimette in fila il suo manufat­turiero e la capacità di produrre, non uscirà mai dalla crisi. Non siamo in grado di inventarci un mo­dello produttivo dal nulla. Non puoi dare come uni­ca prospettiva ai giovani il precariato nella Grande distribuzione e nei Call centre».
Eppure, intorno a Termini Imerese, si continua a di­scutere senza trovare nulla di concreto.
«Mancano cinque mesi alla chiusura? Io, piuttosto, direi che abbiamo perso due anni e mezzo in chiac­chiere. Il ministro Romani, ogni volta che gli chie­diamo soluzioni per le vertenze Merloni o Termi­ni Imerese, risponde ’tutto a posto’ e questa affer­mazione preclude la possibilità di nuovi incontri ri­solutivi».

Dovrebbe andarlo a dire davanti ai lavoratori.
«Anche con loro fa tanta demagogia. E’ andato con un megafono a spiegare agli operai di Fincantieri che ci sarebbe stata una risposta immediata. Per la Merloni sono passati tre anni e siamo ancora qua. Fare demagogia è semplice, mettere in campo ri­sposte concrete, rispettare i piani territoriali di in­vestimento, decidere che prima di occuparsi delle televisioni ci si può occupare delle industrie, non è di questo mondo».
Che idea si è fatta della nuova manovra finanzia­ria?
«Si sta mettendo fuoco alle polveri. E’ una manovra ingiusta. La maggior parte dei pensionati guadagna meno di 500 euro».

Anche Emma Marcegaglia, presidente di Cenfin­dustria, è d’accordo con lei…
«Si può esser egoisti finché si vuole, ma è chiaro che lei rappresenta un sistema di imprese che prevede la presenza di lavoratori e, dunque, si rende conto che se non c’è più potere d’acquisto crollano anche le imprese».

Susanna Camusso, milanese, è segretario generale della Cgil dal novembre 2010. Si occupa di sindacato fin dal 1975 e dal 1977 al 1987 è dirigente della Fiom milanese per poi diventare, primo segretario regionale della Flai, il sindacato del settore agro-industria della Cgil e, nel 2001, segretario generale della Cgil lombarda.

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