Con il terzo settore per un nuovo Mezzogiorno

Che l’Italia abbia bisogno di una politica nuova per risollevarsi lo sosteniamo da tempo. Cosa fare, come agire, quali proposte mettere in campo sono le domande a cui il Pd vuole dare risposte chiare. Pochi giorni fa ho partecipato alla seconda Festa nazionale del Partito democratico sul Terzo settore. Un’occasione di confronto su realtà ignorate, anzi sempre più tartassate da questo Governo: parliamo dell’associazionismo, della vasta rete del non profit, della cooperazione sociale, del volontariato. Mi sembra uno degli argomenti chiave per la rinascita del nostro Paese. Esattamente come quello del Mezzogiorno che, non mi stancherò mai di dirlo, sarebbe l’asso nella manica per il nostro Paese, se solo venissero considerate le sue enormi potenzialità.

 

Ecco una sintesi del mio intervento alla Festa nazionale svoltasi a Caltagirone:

Il miscuglio del berluscon-leghismo, nelle sue più recenti degenerazioni, ha prodotto una serie di risultati negativi che sono alla base delle profonde difficoltà che il Paese sta attraversando nel tentativo di uscire dalla crisi internazionale. Alla base del sistema di valori di questo centrodestra che ha governato c’è un individualismo esasperato che ha fatto saltare tutti i vincoli di solidarietà e rinunciato all’elaborazione di un disegno strategico di sviluppo e modernizzazione per l’intero Paese.

Questa stagione politica, che speriamo giunga presto a conclusione, ha prodotto un orientamento culturale che vede il Mezzogiorno come una palla al piede mentre, al contrario, è tempo di affermare con forza che soltanto un’Italia unita e solidale può uscire dalla più grave crisi democratica ed economica della storia repubblicana.

I dati forniti dall’ultimo rapporto annuale sul Sud, dallo Svimez, confermano la drammatica situazione in cui versano l’economia e la società meridionale. Le cifre relative alla condizione di giovani privi di occupazione e di prospettive dovrebbero suscitare allarme e preoccupazione in una classe di governo responsabile, ma tale non è. Ad aggravare una situazione già drammatica da anni, sono arrivate anche le ultime manovre che peseranno al Sud quasi due punti di Pil in più rispetto al Nord.

Altro dato drammatico è quello dei giovani che emigrano verso il Nord: oltre 600.000 in due anni. Partono dal Sud, spesso per non tornarci.

Occorre una politica nuova, che non alimenti le divisioni tra Nord e Sud, un governo capace di guidare il Paese in maniera equa e responsabile. Non servono gli annunci, non serve presentare svariate volte – almeno cinque – il piano per il Sud. Ma che fine hanno fatto questi piani per il Sud?

Il Sud ha in primo luogo necessità di una stagione di riforme nazionali per aggredire i mali nazionali che frenano la produttività e la crescita del Paese. Il Sud e le classi dirigenti migliori del Mezzogiorno possono essere una guida per il risveglio civico dell’Italia. Ci devono far riflettere, in questo senso, le primavere sbocciate nel nord dell’Africa: anche il nostro Mezzogiorno ha straordinarie potenzialità e può svolgere un ruolo strategico per il nostro Paese. Ma questo potrà accadere solo se il Sud “avrà le carte in regola”. Amava ripeterlo Bernardo Mattarella a proposito della Sicilia.

Dobbiamo “avere le carte in regola”, appunto, per essere al centro del risveglio civico del Paese. Ci riusciremo se sapremo toglierci di dosso l’immagine stereotipata di un’area assistita, che spreca le risorse pubbliche e se sapremo indicare la strada per un nuovo sviluppo del Sud.

POLITICHE SOCIALI – TERZO SETTORE
La crisi economica sta provocando una crisi sociale senza precedenti che non ha ancora mostrato a pieno i suoi effetti negativi. L’unica risposta alla crisi sociale che è venuta dal governo è stata la retorica. La vicenda del 5x 1000 è emblematica: sono moltissime le associazioni che dopo tre anni stanno ancora aspettando di ricevere i fondi. Di più, il governo di centrodestra ha anche previsto una drastica riduzione mettendo a rischio i progetti di stampo sociale o di ricerca condotti in questi anni e riducendo drasticamente il numero degli enti che potrà beneficiarne.
Questo è un altro esempio di come Berlusconi non sia riuscito a realizzare il suo programma: uno dei suoi slogan era “meno Stato più società”, come può esserci più società se si riducono gli strumenti a disposizione del terzo settore? Il Governo ha sottratto risorse a coloro che lavorano proprio per colmare le carenze dello Stato. Mi pare non vi sia alcuna strategia e nessuna logica alla base delle decisioni dell’esecutivo che contrae contemporaneamente le risorse per i servizi pubblici e l’assistenza e per il terzo settore.

Una delle proposte del Pd è la stabilizzazione per legge del 5 per 1000, di modo che si possa superare il balletto con cui le risorse ci sono solo apparentemente e vengono erogate con enormi ritardi, rendendo impossibile la programmazione delle iniziative e la realizzazione di programmi impegnativi che maggiormente qualificano l’attività no profit e meglio rispondono ai bisogni sociali

La manovra di agosto prevede che una parte cospicua delle risorse da destinare al pareggio di bilancio provenga dal recupero dell’evasione fiscale. Una clausola di salvaguardia, di cui si parla troppo poco, prevede che se dovesse arrivare un gettito inferiore al previsto, tali somme verranno recuperate dalle agevolazioni fiscali. Si tratta come sempre di tagli indiscriminati, lineari, alle agevolazioni fiscali previste a favore delle famiglie e per le erogazioni in denaro destinate alle organizzazioni non profit: sono l’esempio migliore di cosa voglia fare realmente il governo, di quali sono i settori della società che pagheranno il prezzo più alto della crisi e del pareggio di bilancio.

I continui annunci, più o meno smentiti, di condoni e sanatorie non potranno che diminuire il gettito tributario ed incoraggiare, caso mai ce ne fosse bisogno, fenomeni di elusione ed evasione fiscale.

Una manovra dovrebbe essere fatta in base a criteri di efficienza e di giustizia distributiva ed equità. La manovra di agosto invece fa pesare in misura maggiore sui ceti medio bassi il prezzo della crisi, mentre la giustizia sociale richiederebbe tagli maggiori per i ceti medio-alti. I tagli lineari, che significano ingiustizia sociale non sono altro che un taglio semplicistico, ragioneristico, solo per fare cassa.

Abbiamo denunciato più volte il modo in cui questa maggioranza ha fatto scempio del sistema del welfare di questo Paese, perché questi tagli cancellano i diritti.
Noi vogliamo e proponiamo un welfare attivo, con al centro le persone, le famiglie, un sistema che tuteli i più vulnerabili. Vuol dire, ad esempio, ridurre i tagli sulle spese sociali e valorizzare le buone pratiche delle amministrazioni locali.

Il welfare è un altro dei settori in cui è necessario un sistema di riforme per la crescita che deve innanzitutto essere un patto che per funzionare, deve chiamare a collaborare tutte le parti sociali, compreso il Forum del Terzo Settore, che è rappresentativo di tante forze sociali che costituiscono un insostituibile protagonista per lo sviluppo, la coesione sociale e la qualità della vita nel nostro Paese.

I governi del centrosinistra lo hanno fatto in passato: nel 1998 il Governo Prodi sottoscrisse con il Forum del Terzo Settore il Patto per la Solidarietà, un patto di legislatura con precisi impegni da mantenere, e un anno dopo il governo D’Alema siglò col Forum un protocollo d’intesa aggiuntivo per lo sviluppo e l’occupazione, riconoscendo il Forum del Terzo settore come parte sociale, esattamente come i sindacati. Credo sia bene che questa abitudine torni presto a far parte delle consuetudini della nostra politica.

Sul tema del lavoro, dello sviluppo economico, della rete dei servizi, del rapporto tra pubblico e privato non profit, sui fattori di criticità per la tenuta della coesione sociale è necessaria una grande assunzione di responsabilità da parte di tutti ed una discontinuità capace di realizzare un progetto di crescita del Paese in grado di assicurare la sostenibilità del debito e la creazione di nuova occupazione. Tutto questo non può prescindere dal contributo e dal ruolo del Terzo Settore.

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