Codice Rosa contro la violenza: facciamo chiarezza

codice rosaHo partecipato questa mattina al convegno “Codice Rosa 2.0”, una bella occasione di confronto organizzata dall’azienda ospedaliera Papardo di Messina alla quale ho partecipato volentieri. Seguo da tempo infatti l’iter che ha portato all’approvazione di una legge specifica per il Codice Rosa: una norma introdotta dalla Camera del deputati in seconda lettura della Legge di Stabilità 2016, grazie all’impegno della proponente Fabrizia Giuliani e che io come relatore per la Commissione Giustizia ho sostenuto con convinzione. Perché, a mio avviso, costituisce un buon esempio di legislazione. Si tratta infatti della traduzione normativa di una buona prassi, ed una buona prassi va esportata e sostenuta. La buona pratica a cui mi riferisco è il Codice Rosa messo in atto dalla Regione Toscana: ne avevamo parlato  qualche tempo fa assieme all’artefice di questa esperienza, Vittoria Doretti, durante un incontro a Catania. Si tratta di un percorso, all’interno dei Pronto Soccorso, di tutela per le vittime di violenza che la regione Toscana sta sperimentando ormai da sei anni. Riconosciuto come eccellenza e buona pratica a livello nazionale, nel corso degli anni è stato insignito di numerosi riconoscimenti e premi. Dopo anni di dibattiti e analisi, di dati sconfortanti sulla violenza di genere finalmente il Parlamento si è attivato per fornire alle istituzioni, alle associazioni e agli enti in prima linea nel contrasto alla violenza nuovi strumenti, partendo proprio dall’esperienza e dai risultati incoraggianti ottenuti in questi anni dall’esperienza toscana. Il provvedimento approvato dal Parlamento è stato però oggetto di contestazioni e polemiche, francamente incomprensibili e proverò a spiegare perché. Dunque tutti concordano sul fatto che l’assetto attuale non funzioni, ma chi tenta di affrontare il problema mettendo in atto concrete misure per superare l’impasse, partendo – ripeto – da un’esperienza che ha prodotto risultati positivi, viene contestato. La lettura delle norme consente di fugare gran parte delle preoccupazioni manifestate, alimentate dalla diffusione di notizie infondate che hanno generato un allarmismo preoccupante e spropositato. Ovviamente saranno i fatti a dire se le scelte operate sono state indovinate o meno, io però vorrei provare a fare chiarezza.

IL CODICE ROSA VA CONTRO LA COSIDDETTA CONVENZIONE DI ISTANBUL RATIFICATA DAL NOSTRO PAESE IL 19 GIUGNO 2013 ED ENTRATA IN VIGORE IL 1 AGOSTO 2014.
Una tesi stupefacente. Al contrario, la norma trova i propri fondamenti giuridici – oltre che nella direttiva europea 2012/29/UE in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato (recepita dal Consiglio dei Ministri lo scorso 11 dicembre) e nella legge n.119/2013 – proprio nella Convezione di Istanbul. Essa all’art. 20 prevede esplicitamente che “le Parti adottino le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le vittime abbiano accesso ai servizi sanitari e sociali, che tali servizi dispongano di risorse adeguate e di figure professionali adeguatamente formate per fornire assistenza alle vittime e indirizzarle verso i servizi appropriati”. Mentre l’articolo 18 prevede che “le Parti adottino le misure legislative o di altro tipo necessarie, conformemente al loro diritto interno, per garantire che esistano adeguati meccanismi di cooperazione efficace tra tutti gli organismi statali competenti, comprese le autorità giudiziarie, i pubblici ministeri, le autorità incaricate dell’applicazione della legge, le autorità locali e regionali, le organizzazioni non governative e le altre organizzazioni o entità competenti, al fine di proteggere e sostenere le vittime e i testimoni di ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione”.
L’evidente sovrapponibilità tra Convenzione e norma introdotta rende grottesca la minaccia di ricorrere alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU).

IL PERCORSO “CODICE ROSA” OBBLIGA LE DONNE ALLA DENUNCIA E TALE OBBLIGO COMPORTERÀ CHE LE DONNE NON SI RIVOLGERANNO AI PRONTO SOCCORSO.
Non è previsto alcun obbligo di denuncia, è previsto invece che il personale sanitario che si trova a soccorrere la vittima di violenza la informi di tutte le possibilità che ha per uscire dalla propria condizione di sofferenza, dai contatti dei centri antiviolenza presenti sul territorio agli enti specializzati, fino alla possibilità di rivolgersi alle forze dell’ordine nel caso la vittima ne faccia richiesta. Una procedura ben lontana dall’essere “securitaria”, ma che anzi prefigura una collaborazione attiva tra le associazioni e le istituzioni che operano in prima linea nel contrasto alla violenza in modo da creare una rete efficace ed utile per le vittime. Peraltro la sperimentazione portata avanti negli ultimi anni in Toscana dimostra l’opposto. Dal 2012 – anno in cui Codice Rosa è entrato in vigore in tutte le Asl della Regione – al 2014 la stessa Regione ha registrato un aumento costante dei codici rosa trattati: 1455 nel 2012, 2998 nel 2013 e 3268 nel 2014. Dati consultabili sul sito della Regione Toscana.

CODICE ROSA È UN “ATTACCO VERGOGNOSO” ALL’AUTO-DETERMINAZIONE DELLE DONNE.
Falso. Chi impugna questo argomento non solo offende la professionalità di medici, infermieri e personale sanitario che si mette a disposizione per dare un servizio migliore e coordinato alle vittime che subiscono violenza, ma dimostra nei fatti di non conoscere il Codice Rosa.
Per rispondere a tale accusa è infatti sufficiente spiegarne il funzionamento pratico. Cosa in altre parole accade quando un “Codice Rosa” arriva in Pronto soccorso.
Partiamo dalle modalità di arrivo ed identificazione che essenzialmente si riducono in 2:
1. La vittima stessa, arrivata in Pronto soccorso, si dichiara “Codice rosa” (un caso non raro in questi 6 anni di sperimentazione).
2. L’infermiera/e di triage (o il personale medico-sanitario che eventualmente ha soccorso la vittima in ambulanza) intuisce che si possa trattare di un “Codice Rosa”.
Terminata la fase di identificazione, parte il percorso. La vittima invece di aspettare come un codice a bassa priorità viene fatta accomodare in una normale stanza del Pronto soccorso fornita di servizi e strumentazione medico-sanitaria adeguata (banalmente un bagno con una doccia, strumentazione medica e ginecologica, tutto il materiale per un’eventuale raccolta di elementi forensi, ad esempio il kit per lo stupro) in modo da evitare ulteriori spostamenti della vittima all’interno dell’ospedale. In assenza di Codici Rosa, la stanza è utilizzata normalmente per tutti i pazienti del Pronto soccorso, proprio per non stigmatizzare quel luogo che è assolutamente anonimo all’esterno per salvaguardare la privacy. Solo in caso di arrivo di un Codice Rosa, la stanza viene liberata. La presenza della strumentazione medica adeguata fa sì che tutti i medici e gli specialisti possano controllare/visitare/ascoltare la vittima direttamente nella stanza del Pronto soccorso (es. in caso di violenza sessuale l’infettivologo e il ginecologo potranno visitare la vittima direttamente in Pronto soccorso evitando ulteriori spostamenti in reparti). Questo garantisce anche che alla vittima non vengano fatte più volte le stesse domande (massimo rispetto dei “tempi della vittima”).
In caso di conferma di Codice Rosa il/la paziente viene inoltre messo/a al corrente di tutte le possibilità che ha per uscire dalla propria situazione di sofferenza: viene informato/a dell’esistenza di centri antiviolenza specializzati ed eventualmente messo/a in contatto con loro e se espressamente richiesto dalla vittima viene data la possibilità di sporgere denuncia direttamente dal Pronto soccorso. Sempre in caso di “Codice Rosa” il personale medico-sanitario si assicura che tutte le prove di violenza raccolte vengano conservate e non eliminate o contaminate in modo da essere utili ed adeguate da un punto di vista “forense” nel caso la vittima decidesse di sporgere denuncia in un secondo momento (si pensi ad esempio ad un caso di violenza sessuale in cui la vittima ha 6 mesi di tempo per sporgere denuncia).
Ovviamente prima di ogni passaggio la vittima viene informata di quello che accadrà e le viene chiesto il consenso a procedere.
Nella stanza del Pronto soccorso sono inoltre presenti tutte le informazioni ed i contatti dei centri anti-violenza e delle strutture specializzate che la vittima può contattare se interessata. Tutte le informazioni sono riprodotte anche attraverso opuscoli che le vittime possono semplicemente prendere ed anche nel caso in cui il/la paziente non dichiari di essere una vittima di maltrattamento viene comunque fornito opuscolo con informazioni dei servizi utili sul territorio.
Ammetto sinceramente e senza retorica di non riuscire a comprendere in che maniera tale percorso possa essere lesivo per la dignità e l’autodeterminazione delle donne.

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