Il caso dell’evasione del detenuto Sebastiano Gagliano seguito a poche ore di distanza dalla fuga del camorrista Pietro Esposito, ambedue erano in permesso dalla detenzione, ha calamitato l’attenzione dei media sulla Giustizia. Ieri e oggi sono stato invitato a partecipare a due dibattiti tv per parlare, partendo dal caso di cronaca, del decreto legge appena approvato da pochi giorni in consiglio dei ministri contenente misure urgenti in tema di ordinamento penitenziario e di sovraffollamento carcerario.
In entrambe le occasioni, la prima su Sky Tg 24 e la seconda su Rai Uno, ho preso parte ad un dibattito dai toni pacati durante il quale mi è stato dato modo di spiegare perché non bisogna generalizzare i due, pur gravi, casi di evasione durante un permesso premio e perché conviene investire sulla fiducia e sulla riabilitazione delle persone che hanno commesso dei reati.
Ogni qualvolta si prende la decisione di concedere un permesso ad un detenuto si deve tenere in conto la possibilità di una evasione o l’eventualità della commissione di altri reati. Si tratta di un rischio che è fisiologico. Un rischio che vale la pena correre, visto che chi beneficia di permessi o di misure alternative, raramente torna a delinquere.
I numeri, del resto, parlano chiaro: nel 2012 sono stati concessi più di 25 mila permessi e solo 52 persone non hanno fatto rientro in carcere. Bisogna lavorare perché il rischio di fuga sia ridotto al minimo, sia per i detenuti ai domiciliari, sia per quelli che usufruiscono di permessi premio. Aver ampliato la possibilità dell’uso del braccialetto elettronico è una delle vie da seguire in ordine al mantenimento di adeguati standard di controllo istituzionale sugli autori di reato. E’ comprensibile che la vicenda Gagliano susciti preoccupazione. Ritengo però che sia necessario riflettere in modo pacato sull’istituto del permesso premio che costituisce, insieme ad altre misure come l’affidamento in prova, la semilibertà, il lavoro all’esterno, uno strumento essenziale per il reinserimento sociale dei detenuti.
I permessi servono a coltivare in prossimità dell’uscita dal carcere gli affetti familiari, a riprendere contatti con il territorio e ad evitare che si ripresentino le condizioni che hanno condotto al delitto. Si tratta, e a testimoniarlo sono i numeri, di un meccanismo che tirando le somme produce più sicurezza che allarme.
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