Un progetto di legge per modificare l’attuale legislazione sulle cooperative sociali in modo che i rifugiati vengano considerati soggetti svantaggiati di cui favorire l’inserimento lavorativo. E’ la proposta che porterò in commissione Lavoro a Montecitorio e che ho illustrato oggi, alla Camera, durante il seminario “Lavoro vero” su rifugiati e mercato del lavoro in Italia organizzato dal consorzio Connecting People. Sono sempre stato convinto del fatto che l’enorme massa di immigrati che si riversa sulle nostre coste ogni anno andrebbe considerata come una risorsa per il nostro Paese – e la Sicilia, porta del Mediterraneo, dovrebbe saper intercettare queste potenzialità – piuttosto che come un peso o una voce di costo. Oggi, alla luce dei dati presentati al seminario, è emerso chiaramente come l’integrazione passi dal lavoro ma spesso, troppo spesso, è ostacolata dalla noncuranza della burocrazia, dalla assenza di politiche di inserimento socio-lavorativo dei rifugiati. E’ uno dei dati che emerge dalle oltre 12.000 interviste a richiedenti o titolari di protezione internazionale effettuate nell’ambito del progetto Nautilus dal Consorzio Connecting People.
Sui 12 mila intervistati, solo 98 hanno visto riconosciuto in Italia il proprio titolo di studio, un grave danno poi se si considera che l’81 per cento di queste persone ha deciso di costruire il proprio progetto di vita in Italia ma la cui gran parte (il 70 per cento) a stento capisce e parla l’italiano. Per questo credo sia necessario non solo favorire l’accesso dei rifugiati a corsi di alfabetizzazione – come ha proposto Cesare Damiano – ma soprattutto garantire loro un lavoro, un lavoro vero.
Di esuli, profughi, rifugiati – in una parola, di migranti – abbiamo discusso anche domenica scorsa a Zafferana Etnea durante la seconda edizione della summer school “Etnika” promossa da Connecting People e Fondazione Xenagos. Una interessante occasione di apprendimento, di riflessione e di confronto per e fra persone giovani che hanno esperienza su questo tema, promosso da due enti che stanno svolgendo un ruolo importante per l’integrazione dei migranti, tanto con il documento “Il futuro passa da qui”, una riflessione sulle dinamiche del Nord Africa, e ora con momenti di studio e riflessione.
Come ho avuto modo di dire domenica, i temi dell’accoglienza e dell’immigrazione sono centrali per chi si interroga sul futuro della nostra società ma che invece non entra a sufficienza nell’agenda politica o nelle cronache giornalistiche. Un tema per troppo tempo ideologizzato e di cui si discute solo in occasioni di tragedie come quella dell’altro giorno a Lampedusa o su singoli episodi di criminalità, che nulla hanno a che fare con la realtà complessiva dell’immigrazione.
L’ideologizzazione di questo tema ha portato al crearsi di due schieramenti contrapposti, una netta divisione fra chi pensa che ci si debba opporre con ogni mezzo all’ingresso nel nostro Paese dei cittadini stranieri e chi ritiene che si debba favorire, incoraggiare l’ingresso di quanti vogliano raggiungere l’Italia.
L’emergenza in Nord Africa dovrebbe rappresentare una cesura, dovrebbe aver creato un prima e un dopo perché ci ha consegnato un’idea diversa dei nostri vicini di casa, dei nostri dirimpettai, superando alcuni pregiudizi frutto dell’ignoranza.
Eravamo convinti che fossero degli antiquati estremisti islamici, mentre abbiamo scoperto che utilizzano le nuove tecnologie e i social network, grazie ai quali hanno fatto circolare le informazioni e diffuso l’idea contagiosa della democrazia.
Abbiamo tutti fatto il tifo per i giovani della primavera araba, ma dopo cosa abbiamo fatto per loro? Molto banalmente siamo passati ad appassionarci per altri temi che nella graduatoria degli hashtag di Twitter hanno preso il posto della primavera araba.
L’emergenza Nord Africa, poi, ha diffuso definitivamente la consapevolezza che l’Italia è diventata un paese di immigrazione e ci ha svelato, qualora ce ne fosse bisogno, quanto fosse assurda l’idea dei respingimenti, il sistema che era stato ideato e realizzato da Maroni.
Un numero grande, non enorme, di migranti ha mostrato come fosse impensabile pensare di governare questo fenomeno con l’uso della forza.
Chi rischia la vita, chi affronta il deserto, il mare, chi abbandona la propria famiglia, i propri affetti, chi decide di recidere i legami con il luogo in cui è nato e cresciuto lo fa per motivi drammatici, compie un atto disperato: non si può pensare di arrestare la disperazione con le minacce.
Con un cinismo estremo si è creata sull’isola di Lampedusa una situazione insostenibile, e riversato sui lampedusani tutto il drammatico peso di quello che stava accadendo. Poi a Lampedusa è arrivato Berlusconi e ha risolto tutto…
In ogni caso, al di là delle occasioni di riflessione che possono scaturire grazie al documento “Il futuro passa da qui” è molto importante che arrivino delle proposte concrete su come riorganizzare il sistema dell’accoglienza. In questo senso ho molto apprezzato il tentativo di individuare le risorse necessarie per gestire il nuovo sistema che si delinea e condivido pienamente la creazione di una nuova dimensione collegiale e partecipata della gestione dell’accoglienza ed il protagonismo affidato alle Regioni. La concreta realizzazione di questo sistema passa attraverso la consapevolezza di ogni Regione di dover affrontare il problema e di dover creare delle strutture permanenti, dei tavoli di coordinamento capaci di indirizzare tutti gli sforzi degli attori dell’inserimento socio-lavorativo, le cui competenze sono diffuse su vari livelli istituzionali e fanno capo a diversi soggetti sia pubblici che privati vengano tutti orientati nella stessa direzione.
Un tavolo che ovviamente raccolga innanzitutto chi sta in prima linea: penso ai sindaci – spesso abbandonati in questo ruolo – ma penso soprattutto alle organizzazioni di volontariato e quanti gestiscono le strutture che posseggono un patrimonio inestimabile di conoscenza.
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