Ho preferito riflettere per qualche ora prima di esprimere alcune opinioni sull’accaduto (la riflessione sugli errori commessi è necessaria ed è iniziata). Del resto tra i miei difetti, non pochi, non c’è la sindrome del gallo che ritiene che il sole sorga perché lui canta (al proposito rinvio alla piccola fiaba di Valerio Dantino.
Sempre a proposito di sole che sorge, va detto che è vero che il sole è sorto ancora, ma anni di impegno riformista, di duro lavoro parlamentare, di speranze di cambiamento sono andati in fumo e che di riforme per molto tempo non si parlerà, ne sono certo. Inoltre mesi di campagna elettorale entusiasmante, vissuti con tanti amici che ci hanno creduto come me, che hanno provato a spiegare temi spesso difficili a tantissime persone, riscoprendo il valore e la bellezza di fare politica, si sono conclusi con una sconfitta elettorale, purtroppo. E il dolore è cocente.
È vero che non c’è stato l’Armageddon, ma il ritorno prepotente e sguaiato di Brunetta e Gasparri, insieme ai festeggiamenti di Salvini e Grillo, sono una tortura degna di un girone dantesco.
È vero che più di trenta milioni di elettori a mobilitarsi per un referendum costituzionale sono una gran bella notizia per la politica e per la democrazia, e se non siamo riusciti nella missione generazionale di chiudere la lunga transizione verso la seconda Repubblica, almeno siamo riusciti a suscitare un dibattito largo sul tema degli assetti istituzionali della Repubblica, che prosegue in queste ore, ma avremo ancora bicameralismo paritario e persino il Cnel (incredibile!!!). Continua a leggere »
9. Perché si contengono i costi di funzionamento delle Istituzioni.
La riforma interviene sul versante dei costi in vario modo.
In primo luogo la semplificazione del sistema legislativo e la ridefinizione delle competenze legislative dello Stato e delle Regioni si tradurranno in una maggiore rapidità e efficacia dell’attività delle assemblee elettive, con la conseguente riduzione dei costi di funzionamento. Vantaggi che si assommano ai vantaggi di ordine istituzionale e politico insiti in tali novità.
In secondo luogo vi sono i risparmi connessi alla definitiva abolizione delle Province, del Cnel e alla drastica riduzione del numero dei senatori (i cui membri passeranno dagli attuali 315 ai 100 previsti). A proposito del Senato, va segnalato che i futuri senatori non avranno diritto ad alcuna indennità e nessun vitalizio (contro le attuali 315 indennità corrisposte). Alla diminuzione del numero dei senatori, seguirà la diminuzione del numero di collaboratori parlamentari, dei rimborsi spese, del numero dei dipendenti dei gruppi, del numero di dipendenti dello stesso Senato.
Se tutto ciò non fosse sufficiente, sempre sul versante dei costi, merita di essere segnalata l’introduzione di un tetto per le indennità dei consiglieri regionali (i quali non potranno ricevere un’indennità superiore al sindaco della città capoluogo di Regione) e il divieto di finanziamento da parte della Regione dei gruppi dei propri consigli.
Realisticamente il complesso dei risparmi si attesta sui 500 milioni annui, cifra che non consentirà di risanare il bilancio dello Stato ma che rappresenta un ottimo segnale sul versante della riduzione dei costi della politica.
8. Perché non aumenta i poteri del Governo.
Contrariamente a quanto affermato da alcuni oppositori della riforma, essa non modifica i poteri del Governo. La nostra è e rimarrà una democrazia parlamentare, ed invariato è il rapporto che intercorre tra Presidente della Repubblica, Parlamento e Presidente del Consiglio.
L’unica novità in questo ambito è rappresentata dalla possibilità che le proposte di Governo abbiano una corsia preferenziale per i disegni di legge di iniziativa governativa, novità compensata dalla drastica riduzione del ricorso alla decretazione d’urgenza.
Il Governo quindi, non sarà più forte, ma sarà più stabile perché dovrà ottenere la fiducia della sola Camera dei deputati e non anche del Senato. Eliminando così uno dei principali fattori di instabilità, atteso che dal 1994 in poi, nei due terzi dei casi, le maggioranze uscite dal voto, sono state diverse nelle due Camere.
7. Perché non ce lo chiede l’Europa.
A Bruxelles vengono assunte molte delle decisioni che influenzano la politica nazionale. D’altra parte, di frequente le decisioni assunte a livello nazionale vengono giustificate sulla scorta di veri o presunti diktat europei.
L’attuale assetto istituzionale dell’Unione europea è incentrato su un processo decisionale di stampo intergovernativo. Le principali decisioni vengono assunte dai rappresentanti degli esecutivi dei singoli Stati, riuniti nel Consiglio UE o nel Consiglio dei ministri.
È interesse dell’Italia, pertanto, che il governo sia stabile, in modo da fare pesare le nostre buone ragioni in quella sede. E’ interesse degli altri Paesi europei, di contro, che l’Italia sia rappresentata da esecutivi deboli e possibilmente “balneari”, non in grado di raccogliere risultati soddisfacenti. Per questo, al di là delle dichiarazioni di facciata, nessun Paese europeo è davvero interessato al consolidarsi del processo riformatore.
Un’Italia instabile, i cui rappresentanti nelle Istituzioni comunitarie cambino ad ogni pie’ sospinto, è il sogno dei nostri partners, rappresentati da governi stabili e solidi e pronti ad approfittare delle nostre debolezze.
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